adynaton
(plurale adynata) è una figura retorica il cui nome deriva dal greco ἀδύνατον e significa "impossibile". Consiste nel subordinare la possibilità che si verifichi un fatto a un altro ritenuto impossibile.
La storia
Micheleddu è un giovane teppista buono, agile picchiatore, con un debole per le droghe. Attraverso gli occhi del fratello minore si racconta della sua breve vita e del suo ammazzamento. Il ritmo della disperazione sale fino a toccare l'ipotesi della vendetta. Tutto è intervallato da giostre di sogni in cui si cerca di fare cose impossibili: come raccogliere l'ombra del campanile.
Mauro Tetti
ATTRIBUZIONE PRIMO PREMIO
“Il candidato ha dimostrato sicurezza nell’intercettare una forma fonologica di tipo trenodico di antica memoria (il lamento del lutto), di cui riproduce i ritmi formulari. D’altra parte attinge ad una tradizione narrativo-rappresentativa della letteratura sarda e alla forza di altri codici, come quello cinematografico. Si rileva il tentativo, sul piano dell’elocuzione, di fornire al monologo un ritmo da prosa d’arte, che si avvale della ripetitività e del rilancio, e di trasferire in italiano le movenze della sintassi della lingua sarda.”
Note sullo spettacolo
È un monologo crudo, sporco, diretto. Ha dentro tutta la potenza e l’universalità di un grido e come tale le parole non chiedono il permesso di irrompere con la loro crudezza.
Gridano una storia come tante, ai margini della società, dove i protagonisti sono ragazzi anch’essi come tanti, gettati nella voragine tragica dell’ingiustizia, sommersi dall’incapacità di cercare un altro “modo” possibile.
La storia non stupisce, non è spettacolarizzata, non vuole insegnare o suggerire, vuole semmai essere, mostrarsi, anche se sotto la “luce finta” di un tempo teatrale.
Anzi, la forza di Adynaton sta proprio nella sua “innocenza“ teatrale: cercare nella finzione scenica il luogo di un possibile compianto, l’elaborazione di un lutto. Allora, metterne a nudo questa finzione, scarnificando la scena e l’apparato teatrale, significa ricondurre il gioco mimetico al suo più intimo campo di battaglia: il corpo dell’attore, con la sua verità “esposta”.
Questo in Adynaton si chiede allo spettatore: riconoscere nel timbro della voce, nel tendine del piede, nello sputo e nella contrazione muscolare del performer l’adynaton di un’impossibile commozione empatica.
Tutta l’opera mira a questo: condividere con il “giusto” attore un “giusto” percorso drammaturgico e costruire attorno al suo “giusto” corpo, una possibile immaginaria motivazione di “giustizia” estetica.
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